Right adora i ritratti di Nigel Parry.
Venerdì sera.
Siamo io e Left, a casa, sul divano letto, aperto, siamo decisamente stanchi.
Da mesi le sere, che erano il nostro momento più produttivo, sono diventate l’unico momento in cui ci disattiviamo e va bene così, stiamo re-imparando a prenderci i nostri tempi.
Abbiamo orari e abitudini da fare invidia ad un ventenne, ma di anni ne abbiamo 34 e 35.
Tra 34 e 35 quello che ti aspetti è di aver trovato un minimo di stabilità invece ti cambia tutto sotto i piedi, giornalmente, alla sera ci arrivi proprio stanco.
Il venerdì sera ce lo dedichiamo, è sempre stato così.
Alle 22:00 io – Right – mi rendo conto di avere contestualmente fame e voglia di fiondarmi sotto la doccia.
Left si mette in cucina, prepara due hamburger di chianina con la maestria di un americano e gusto mediterraneo, in pratica riesce a cucinare un hamburger in maniera eccellente. Io volo sotto la doccia.
Nella mezz’ora precedente è successo questo: bicchiere di vino alla mano navigo il sito di Nigel Parry, fotografo, ritrattista, tante celebrities, ho la testa che vorrebbe spiegare un sacco di cose ma come al solito non ci riesco e sintetizzo con un “vorrei essere una brava ritrattista come lui”.
Non sono soddisfatta, questa non è una spiegazione, non ho detto quello che volevo, non ho detto quello che ho pensato.
Abbasso le difese e comincio il mio monologo.
Apro il sipario da sola e parto, Left mi ascolterà, mi ascolterà come sempre e riuscirà a capire anche quello che nonostante tutto non dirò.
Non vorrei essere una ritrattista come Nigel Parry per ottenere foto come le sue, adoro quelle luci, adoro i tagli, adoro le inquadrature, adoro tutto di quelle foto.
Tutto e tutte.
Quello che vorrei è saper guardare gli esseri umani come li guarda lui. Non è la fotografia è l’atto del guardare (e la differenza è veramente tanta), alcuni gli avranno dedicato ore, qualcuno minuti; le scorro, tutte, una cosa mi è chiara: tutte hanno concesso un biglietto di entrata, lui le persone non le guarda e basta, quei ritratti non dicono questo, lui chiede che l’altro gli dedichi la possibilità di avere accesso al non detto.
Il fascino di questo sistema è che due persone, fotografo e soggetto, perfettamente in grado di utilizzare dei sistemi di comunicazione canonici decidono di parlare stando in silenzio. Affidano all’osservatore un pezzetto microscopico della loro discussione e lo fanno con violenza. Entrambi.
Il fotografo ti vomita addosso la capacità che ha di entrare, di comunicare ma non dice altro, non un accenno a cosa, non un accenno al perché, la comunicazione è privata.
Il soggetto lascia che argento o silice (a seconda dell’anno e del mezzo) imprimano indelebilmente il proprio consenso, ma anche qui, nessun accenno a cosa, nessun accenno al perché.
Non vorrei saper riprodurre quei ritratti vorrei saper guardare così chiunque, in qualunque contesto, in qualunque luogo.
Abbasso il sipario e – come ho già detto – corro sotto la doccia.
Permane però quella bella sensazione di avere altro da imparare, altro da capire.
Come è già capitato in passato, utilizzando le parole di chi è molto più bravo di me “non nutro alcun interesse verso cose di cui mi sembra di aver già capito tutto”.